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Tanto noi non ce l’avremo!

“Che ne parliamo a fare? Tanto noi non ce l’avremo!” Nella maggior parte dei casi, quando parliamo oggi di pensione o in maniera allargata del sistema previdenziale italiano, la reazione che scaturisce è proprio questa. Sicuramente le incertezze e le paure legate a un sistema, come quello statale, troppo oneroso per essere sostenibile, sono comprensibili.

“Che ne parliamo a fare? Tanto noi non ce l’avremo!” Nella maggior parte dei casi, quando parliamo oggi di pensione o in maniera allargata del sistema previdenziale italiano, la reazione che scaturisce è proprio questa. Sicuramente le incertezze e le paure legate a un sistema, come quello statale, troppo oneroso per essere sostenibile, sono comprensibili.

Esserne consapevoli è il primo passo, affrontarlo come si deve è necessario.

La storia ci insegna che, in Italia, si è cominciato ad affrontare il tema pensionistico, in maniera strutturata, nel 1898, con la nascita della Cassa Previdenza, antenato dell’INPS. Le pensioni venivano erogate con il sistema a capitalizzazione che lasciò il posto, nel 1969, al più conosciuto sistema a ripartizione, alla base del metodo retributivo. In sostanza, la pensione veniva erogata prendendo a riferimento il reddito percepito negli ultimi anni di attività.

Questo sistema, nel corso degli anni, si è dimostrato eccessivamente gravoso per le casse dello stato che ha dovuto studiare soluzioni alternative che, dopo un tentativo intermedio con il cosiddetto “sistema misto”, hanno trovato risposta nel sistema contributivo, in vigore dal 1° gennaio 1996. Tale metodo si base sul montante dei contributi effettivamente versati dal lavoratore durante i suoi anni di attività. Il passaggio, inizialmente, è stato parziale permettendo, a chi aveva iniziato a lavorare prima, di beneficiare del calcolo legato ai sistemi in vigore al momento dell’inizio dell’attività. Questo fino alla fine del 2011 quando la riforma Fornero, oltre ad aver previsto l’innalzamento dell’età pensionabile, ha stabilito l’abbandono definitivo del sistema retributivo.

Un indizio importante era arrivato già nel 2007, con la Riforma del TFR (Trattamento di fine rapporto), che ha sancito la possibilità per il lavoratore dipendente del settore privato, di destinare il proprio TFR alle forme pensionistiche complementari.

La sintesi è la seguente: si va in pensione più tardi e con importi più bassi.

La previdenza complementare e la gestione di un risparmio di lungo periodo, insieme a una gestione “attiva” del proprio TFR (per i dipendenti) rappresentano un’opportunità o quasi una necessità per far sì che si possa mantenere un tenore di vita adeguato dopo una vita di lavoro.

Per approfondire tali temi e scoprire come potremmo cercare le soluzioni più coerenti per te, incontriamoci!